• Soli, tu ed io,uno stralcio

    di ramo fiorito, un figlio

    appena partorito, nelle sferzate

    raffiche di marzo.

    Tu taci, incosciente

    raccogliendo i miei muti oggetti

    io cullo il tuo silenzio

    nel mio sguardo smarrito

    nell’ansia di capire quel granello di vita

    incatenato alla fragilità dei nostri corpi.

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      Piangete voi

      nell’incolto rosario

    lo sguardo su di lei,

    ove il buio incalza

    nel ballo della luna, inebriando

    il sole spento, a tergo astiose stelle.

     

    Piangete voi, l’anima severa,

    fuggente, e non

    ancora fuggita che per

    vincere canta il giorno

    mentre le foglie

    putride stanno mute

    a piangere la campagna.

     

    Piangete voi, un sorriso spento,

    sui capelli d’argento,

    pigra nebbia vesperale

    gemma d’una voce retta, 

    del pensiero costante

    di dire: addio.

     

    Nessuno, la braccerà 

    nella sua follia, dolore,

     frana d’arduo abisso che

    echeggiò, balzò, rotolò cupo

    e tacque, nel canto d’un verso

    di poesia.

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    La vidi per la prima volta al banco dei salumi, piccola di statura molto magra si può dire anoressica, un viso scarnito coperto da un trucco pesante. Mi colpì il suo modo di esprimersi dolce, con delle sfumature di riflessione che poche persone hanno la capacità di comunicare. Notai i suoi occhi neri spenti prigionieri della realtà che a stento la ritraeva. Le sue labbra piccole sbavate d’un rossetto rosso fuoco attiravano solo l’attenzione di chi scagliava una parola di troppo. Lei richiamata da quelle lusinghe ostentava il suo piacere, non capendo che incuneava solo malizie. Mi scossero quelle ossa che spuntavano dalle spalle sostenendo una maglietta bianca, modellava un’affiorante gobbetta che cercava di nascondere dietro i lunghi capelli mossi tinti castani- mogano. Le sue mani, scheletri, con unghie laccate rosse trasalivano come foglie al vento.  Nell’attesa del nostro turno incominciò a raccontare qualche briciola della sua vita. Scorreva, senza sosta tra le dita, una ciocca dei suoi capelli, più che una donna vidi in quel gesto il disagio di una bambina. Una luce materna accarezzò il pensiero, mi lasciai catturare da quelle parole. Mi parlò della sua solitudine, d’un amore perso e mai più ritrovato, di una famiglia che l’aveva bandita. Il suo destino errante si adagiava in un equilibrio logico tra notte e giorno superando i limiti dell’attesa. Le sue visioni analizzavano la natura attraverso il filtro dell’interiorità che trasferiva nelle sue tavolozze che danzavano armoniosamente di colori caldi e freddi, con tratti gravi, pedanti quasi turbati, con apparizioni fugaci che generano il nulla o dal caos. E’ entrata nella mia vita, destando in me un senso solidarietà che mi vede protagonista nella società. Divenni il suo mentore, asciugai le sue lacrime d’afflizione, scavai i suoi silenzi per darle voce, scolpii le sue parole mute raccontando il limite di una testa suicida, gli interessi di una mano. Ho vissuto momenti ubriachi di sensazioni di una voce debole ormai scarsa d’udienza. Cospargere il susseguirsi dei giorni con il polline dell’amore, inseminando la relazione con lo sperma produttivo del sentimento non sempre rende il rapporto tangibile. L’amicizia diventata camaleontica, sfinita, accompagnata d’un nuovo presente sbalestrato e illusorio nel disordine di quella vita da te non vissuta se pure capita.  Gocciolante divenne la sua ambiguità formando nuovi scenari la cui veste mi stringeva, asfissiavo.  Non volli essere un fantoccio nell’arena di una vita bruciata. Pur legata a quei fili che tirava ho cercato di non farmi trascinare dalle sue bugie nel pozzo di desideri scellerati. Gli esili filamenti accompagnati dal grigiore del mio diritto alla rabbia mi faceva esprimere l’indignazione, inseguivo la verità, mentre un mondo falso pieno di espedienti viaggiava con la sua anima vuota senza meta. Le mie mani si arresero nelle annegate parole e urla immorali. Mi sciolsi da quell’abbraccio contando i giorni, le ore, i minuti trascorsi lenti nella tristezza di un risveglio insolente. Capii, che acri sospiri vestiti d’angelo sgusciavano la mia vita. Restituiti ogni singolo oggetto appartenutole per liberarmi dalla morsa dei brutti ricordi ma ancora oggi sono seguita dalla bufera dei suoi eventi. Cerco di rilassarmi valutando il dolore capendo il mio ruolo in questo gioco illogico cercando pesanti risposte. Ed ecco che risuonano le sue lacrime, colori morti in una malata di ambizione in un corpo apparentemente innocente. Non è più tempo dei sorrisi accesi nell’incanto della fantasia, devo tornare in piedi e passo dopo passo riprendere la mia vita.

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